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Spaghi design
L’attimo raccolto (in cucina)
Food Art Design
Il dolce della ballerina
I peccati della carne
BRACIOLE DI MAIALINO AL FORNO CON COMPOSTE DI CORNIOLA E AZZERUOLE
Viver d’amor e di food(art)
by alessandro guerani
Cocina española de Guerani
Pepe Carvalho, il detective buongustaio nato dalla penna di Manuel Vazquez Montalban, arriva in libreria con Cucina spagnola, un ricettario corredato dalla FoodArt di Alessandro Guerani.
Vinegart
Red passion
Spaghetti with Clams
Artigli scarlatti (Scarlet claws)
L’ispirazione del giorno
Sì, rimane lì, “per bellezza”, questa confezione di pasta Felicetti, nella mia cucina, in mostra tra le pentole di rame firmate Navarini. Perché è questo il vero valore che attribuisco ad uno dei prodotti dell’eccellenza trentina, al pari di un’opera d’arte, d’artigianato o di design. L’ho scelta tra le paste migliori per il suo valore aggiunto, ovvero di essere espressione del mio territorio. Ma ora, pasta! Sono le 19, è tempo che il fusillo incontri a suo modo il sugo.
Cheese, please
Quello proposto è uno straordinario “Carrello dei formaggi”, interpretato dal fotografo di food e still-life, Alessandro Guerani.
Caciotta
Formaggio di Capra e Misto
Parmigiano
Gorgonzola Piccante
Pecorino Toscano Stagionato
E’ FoodOgrafia
Un frutto della terra che assomiglia ad un cuore
Che gioia!
A tavola, come Signori di Mantova
Che eleganza, questa sera, a cena
Sì, questa sera vogliamoci bene!
Io non so che dire
di fronte a questo piatto di
TORTELLI DI PATATE AL SUGO DI NANA
a cui manca solo la parola
Viver d’amor e di food(art)
by alessandro guerani”
Viver d’amor e di food(art) by Guerani
Beautiful Sunday Coffee Breakfast (with Guerani)
Tradire non è peccato (Guerani’s Plums)
Manet Strawberries, omaggio di Guerani
Tomatoes Rock
Bontà per gli occhi
Carnival Time
Food, cambia la cultura, cambia l’immagine
Oggi, mercoledì 28 dicembre 2011 ore 11.05, continua la chiacchierata in chat tra Alessandro Guerani e me.
Alessandro Guerani: eccomi qua
Donatella Simoni: buongiorno Alessandro, continuiamo la nostra chiacchierata. Da quanto tempo ti occupi di fotografia e fotografi food?
AG: sono circa 5 anni
DS: è cambiato il cibo in questi cinque anni? Forse noi non ce ne accorgiamo perché fa parte della nostra quotidianità, ma c’è stata un’evoluzione anche “estetica” del cibo?
AG: accidenti che argomenti tosti oggi… fammi organizzare un attimo i pensieri
DS: :-), se preferisci parliamo di dolci
AG: sta’ buona che sono tornato a dieta da oggi, ‘na fatica… Dunque, è un discorso che parte da lontano, dobbiamo prima fare una premessa importante, che ho già fatto diverse volte, ma proviamo a sistematizzarla. La fotografia commerciale serve a vendere ma i desideri non rimangono immutati nel tempo e sono intimamente legati alla cultura del momento, oltre ad essere estremamente diversi a seconda dei tipi di prodotto, target di mercato, paese ecc. Prendiamo le immagini di food degli anni ’70. Prendi un libro di cucina di quel periodo e vedrai delle caratteristiche comuni: una cornucopia di ingredienti e cibo, una luce estremamente artificiale e ricette ricche e complicate. Secondo te perché c’erano queste caratteristiche che adesso ci sembrano addirittura un po’ ridicole? Guarda queste foto, sono un ottimo esempio
Dipende dalla cultura di chi è il destinatario dell’immagine. Gli anni ’70, in tanti paesi, erano gli anni finali del boom, sempre più persone erano diventate benestanti e potevano permettersi quello che per decenni era stato più che un desiderio, un sogno. Dopo decenni di “cinghia stretta”, le immagini dovevano rappresentare un desiderio che finalmente si tramutava in realtà. Che è la stessa identica tecnica con cui ancora oggi è costruita tutta la pubblicità
DS: quindi, cosa è cambiato in verità?
AG: prova a presentare oggi alla gente, queste tavolate…
DS: non è il caso, oggi il cibo è benessere, è salute
AG: esatto, e poi chi ha il tempo di prepararle? Quindi come vedi è la cultura del cibo che è cambiata. Probabilmente, in certi paesi che si stanno sviluppando in questi anni, il vecchio stile di immagini è ancora vincente. E questo fa capire che bisogna avere sempre ben chiaro chi vuoi raggiungere con le immagini
DS: oltre a quelle su committenza, a chi si rivolgono le tue fotografie?
AG: a persone che apprezzano non solo il cibo, ma anche un certo lifestyle, di cui il food è componente importante ma non unica
DS: è davvero molto interessante quello che mi hai raccontato oggi
AG: come hai giustamente notato tu poc’anzi, le “parole d’ordine” del food sono molto diverse dal passato: un tempo era “nutriente”, oggi sono “organic”, “healthy”, “quick”. Organic = cibo naturale, no OGM, Healthy = salutare, pochi carboidrati e grassi, Quick = lo devi preparare tornando a casa dal lavoro. Chi ha più tempo per preparare le ricette di una volta, che avevano magari giorni e giorni di preparazione? Quindi anche per il grande pubblico sono cambiati completamente i parametri
DS: capisco
AG: con questo cambio di mentalità da parte del consumatore, diventa sempre più importante la presentazione del food. Le ricette sono più semplici, veloci e spartane, devi comunque dare una sensazione di benessere che prima verteva solo sul concetto di “quantità”. Per non parlare dell’immagine di tradizione e genuinità dove noi italiani potremmo insegnare a tutto il mondo e invece siamo spesso surclassati da paesi che hanno una tradizione alimentare minore rispetto a noi. Pensa ai francesi e a come riescono a trasformare in “brand” tutto quello che producono. Il prodotto viene quasi annullato rispetto all’estetica o al lifestyle. Ti faccio un esempio
Questo è champagne. Hanno valorizzato talmente il brand che non hanno più bisogno di mostrare il “prodotto” e possono permettersi di coniugarlo con la tecnologia moderna
DS: noi invece ricorriamo a Venezia per promuovere le bollicine trentine 😉
AG: infatti, hanno cambiato il marchio mettendo il QR code. Capisci che per un prodotto così tradizionale è un rischio molto forte, ma hanno voluto far vedere che è un prodotto modernissimo pur con la tradizione che c’è dietro. Anzi, è proprio la tradizione, il continuo investimento nel brand, a poter permettere di superare la tradizionalità, sfidando la modernità. E comunque sono riusciti a presentare un packaging di classe e che attira l’attenzione
DS: noi facciamo fatica in questo, vero?
AG: abbiamo paura, preferiamo il cliché ma è una questione anche di età. Avendo i consumatori con maggiore potere di acquisto, un’età piuttosto avanzata, non sempre proporre cose innovative o spiazzanti può avere successo. All’estero, dove la capacità economica è più legata al merito che alla “anzianità”, è più facile ovviamente proporre innovazione anche nelle immagini
DS: molto chiaro e davvero interessante, grazie Alessandro, penso che approfondiremo presto
AG: come vuoi, grazie a te
Ciak si fotografa!
Oggi, mercoledì 21 dicembre 2011 ore 16.31 continua la chiacchierata in chat tra Alessandro Guerani e me.
Donatella Simoni: Alessandro, guardando le tue foto ho notato che spesso usi delle piastrelle di ceramica, è un tuo gusto? E’ qualcosa che ti porti dal passato?
Alessandro Guerani: sì, perché mi permettono di dare un tocco di colore e decorazione su un set molto minimo, ma non sono semplici da usare, se ci sono già piatti decorati, altre proposte “ingrombranti” visivamente, diventerebbero troppo barocche. Anche perché questi elementi hanno una storia dietro, sono ceramiche da camino, un po’ come quelle delle stufe ad olle, sono inglesi, di solito di età vittoriana o eduardiana. Adesso vengono usate soprattutto come sotto pentola o sotto piatto o sotto bicchiere
DS: approfondiamo l’importanza di creare un set fotografico. Mi incuriosisce la scelta, che dovrai fare immagino, di elementi di scena, chiamiamoli così. Come avviene?
AG: ah, bella domanda… e risposta non facile
DS: la cura del dettaglio è fondamentale, immagino, e bisogna essere bravi in questo ed avere una sensibilità particolare
AG: per risponderti devo tornare a quello che ti dissi in precedenza. In pratica, tu hai un messaggio che devi trasmettere che può essere una sensazione, un luogo, un lifestyle e devi quindi trovare degli elementi scenografici che ti aiutino a trasmettere questo messaggio. Per essere meno teorici, trovami una foto e parliamo di quella
DS: questa
AG: certo, ” Cherries in Wonderland”, si chiama così questa foto. Praticamente volevo fotografare delle ciliege in modo diverso, ambientarle in una situazione “onirica” e lì l’idea è venuta con l’assonanza fra cherries ed Alice (nel paese delle meraviglie). A quel punto, da uno scambio di soggetto, è venuto fuori il set: l’orologio è il Bianconiglio, poi ci sono i semi delle carte che sono le guardie della regina, il tè è il tè da matti. Purtroppo non avevo un narghilé per il Brucaliffo ma forse c’era già troppa roba, bisogna anche darsi dei limiti sennò poi si rischia di esagerare
DS: sì, bisognerebbe 😉
AG: questa fotografia così è nata, cercando di capire come far coesistere il soggetto dentro un set che rappresentasse anche tutte quelle cose. Comunque questo è un esempio che ti fa capire il concetto di quanto dicevo: la creatività non è “creare” bensì mettere in correlazione delle cose. Le ciliege a me fanno venire in mente un momento magico, quel paio di settimane quando si raccolgono e da bimbi si andava a “rubarle” dagli alberi dei contadini. Un “prodotto” che comunque ha un suo fascino, non è disponibile tutto l’anno e si porta dietro un sacco di ricordi dell’infanzia, come le mamme che facevano la marmellata in casa, ad esempio. Quindi ciliegia = memorie infanzia = sogno-bambini = Alice. Vedi i vari passaggi di correlazione?
DS: certo
AG: così presenti il prodotto in un modo non scontato e che riesce a comunicare ad un ampio target. Chi di noi non ha appunto memorie dell’infanzia relative alle ciliege? Chi di noi non ha letto o visto il film di Alice in Wonderland? Il messaggio non è ermetico, disponibile ad una elite, ma piuttosto popolare, allo stesso tempo non banale perché traslato su più piani
DS: sì, capisco
AG: alla base del ragionamento poi, c’è la realizzazione pratica che è basata su problemi pratici, ad esempio, la dimensione delle ciliege, e su considerazioni di tipo estetico. Non puoi usare una modella alta 1,80 per mostrare due ciliege 😀 In un set, gli elementi devono essere inseriti in modo armonico e piacevole. Questo è il “mestiere” vero e proprio in cui poi si utilizza la proprio cultura ed esperienza visiva
DS: certo, cultura ed esperienza che fanno la differenza
AG: vedi che anche tu hai subito riconosciuto l’orologio del Bianconiglio o il tè del Mad Tea Party o i semi delle guardie della regina Rossa
DS: sì, messaggio ricevuto 🙂 Ti chiedo: è il soggetto della foto che ti ispira il set o costruisci il set sul soggetto?
AG: costruisco il set sul messaggio che voglio dare, il soggetto è il messaggio, altrimenti basterebbe una foto che ritrae una ciliegia, punto. La ciliegIa è la parte fondamentale del messaggio ovviamente, ma “ciliegia” in sè, è solo una parola o un frutto. Non si vende la ciliegia, si vende l’idea di ciliegia e l’idea coniugata in un certo modo
DS: è chiaro. Per i tuoi set, vai a comperare tazze, bicchieri, piatti, tessuti, di volta in volta?
AG: dipende, qualche volta sì, ma ho un “archivio” notevole. Spesso compro qualcosa quando lo vedo sapendo che prima o poi mi servirà. Io ho un mio stile ovviamente, e quindi so già se un oggetto può rientrarci o meno. Quando invece, come ti dicevo, ci sono dei brief più specifici esterni in cui sono costretto a seguire direttive non mie, a quel punto sì, gli oggetti di scena si comprano al momento e talvolta vengono forniti dagli stylist
DS: senti, vai via per le feste?
AG: no
DS: allora ci sentiamo la prossima settimana, intanto davvero tanti auguri
AG: anche a te!
Food e fotografia. Dialogo tra realtà e irrealismo, natura e morte
Oggi, mercoledì 14 dicembre 2011 ore 16.13 continua la chicchierata in chat tra Alessandro Guerani e me.
Donatella Simoni: Alessandro riprendiamo dai salami blu e dalla realtà irreale
Alessandro Guerani: bene
DS: senti, ma allora se ti commissionano fotografie di salumi tu ci lavori in post produzione?
AG: chili di nitriti nel mentre e post produzione nel dopo. Si ossidano subito e comunque bisogna sempre virarli un po’ verso il rosso. Se vedi le foto in pellicola ti accorgerai come usavano sempre un ambiente “rossastro”
DS: ma è terribile
AG: ho proprio fatto delle foto nei giorni scorsi a dei salumi, salumi freschi, zampone, cotechino e salama e prosciutto, salame e mortadella
DS: e come è stato?
AG: ho pensato a lungo come farli perché non sono belli subito
DS: immagino, ho visto le tre foto sul tuo blog
AG: ne mancano ancora due che pubblicherò domani sul blog www.foodografia.com e una terza non la pubblico
DS: perche?
AG: perché fa impressione
DS: no
AG: vuoi vederla?
DS: sì
[Alessandro Guerani mi invia la sua foto fatta allo zampone]
DS: mamma mia è terribile alessandro
AG: te l’avevo detto
DS: pazzesco
AG: lo zampone artigianale “purtroppo” è una zampa
DS: non c’è dubbio, che realismo! Anche lo zampone è blu?
AG: è magenta, non blu e comunque anche cotto è impressionante. Purtroppo quelli artigianali usano maiali adulti, sono buonissimi… non sono belli 😀
DS: per nulla direi, dopo aver visto il tuo zampone. Comunque con gli altri salumi mi sembra sia andata bene. Sei soddisfatto?
AG: hmm… si e no. Probabilmente se le rifacessi avrei degli accogimenti in più in certe cose tecniche della cottura, nella scelta della carne, …
DS: scusami, ma io sto ancora pensando allo zampone
AG: povero maiale 😀
DS: però questo è l’esempio che la fotografia può essere anche reale, troppo reale, realistica
AG: la fotografia fa vedere i dettagli che il nostro cervello elimina. Se tu vedi una persona per strada che conosci non fai caso che ha un brufolo sopra il labbro, se la vedi in foto sì, perché dal vivo il cervello categorizza l’informazione come non importante e la elimina. Ma guai a dirlo a chi vende creme contro i brufoli 😉
DS: già
AG: per questo a noi uomini fanno ridere un po’ le donne che ci mettono un’ora a truccarsi quando per noi erano belle anche prima, questione di priorità 😀
DS: cosa stai cercando di dire?
AG: che ognuno di noi vede quello che gli interessa di vedere
DS: è una grande verità, anche per lo zampone. Dici che forse non mi avrebbe fatto quest’effetto se tu non mi avessi avvertito?
AG: no, lo ha fatto anche a me. Dal vivo mi sembrava solo un bello zampone… fresco, appetitoso
DS: e quando hai visto la prima volta la tua foto cosa ti sei detto? Ma che mostrosuosità sei riuscito a creare Guerani?
AG: subito no, l’ho pensato poi, riguardandola lontana dalla visione gastronomica. Per esempio sono convinto che dentro un servizio sui salumi, assieme alle altre foto, non avrebbe un impatto così forte perché entra dentro una logica che le toglie questa visione di morte che ha se è da sola. Ti faccio un esempio
Anche questa da sola è abbastanza “forte” come immagine, meno dello zampone e poi ti spiego perché, ma assieme ad altre foto simili, col piatto cucinato ecc diventa “naturale”
DS: sì
AG: se pensi a LadyGaga e al suo vestito di carne fa impressione su un palco ma se fosse in una macelleria farebbe al massimo sorridere
DS: sì capisco, dipende quindi anche dal contesto
AG: tantissimo, motivo per cui se vedi una donna in bikini in TV fa audience, la vedi in spiaggia continui a leggere il giornale
DS: certo, il cervello…
AG: quindi lo zampone aveva un grosso problema, per quello ti dico che se le rifacessi starei più attento a dei dettagli. Lo zampone ha la pelle quindi visto da solo rimanda immediatamente all’animale vivo. Quelle costolette di agnello, pur essendo ancora più macabre, in realtà essendo carne sono decontestualizzate dall’animale. Pensa se invece vedessi parte dell’agnello con pelo e tutto
DS: è molto chiaro, la morte, ritorna, nella natura
AG: questo ti dice anche la familiarità che si aveva con la morte nel passato. Lo zampone è un cibo molto tradizionale. Se vai in certi mercati in meridione dove ci sono i venditori di frattaglie vedi tranquillamente teste di vitello ecc, qui da noi abbiamo molto decontestualizzato la morte, vediamo la carne sotto cellophane e non ci rendiamo quasi più conto che si trattava di un animale
DS: che ruolo ha la fotografia in tutto questo?
AG: la fotografia essendo un medium fra l’esperienza visiva e il cervello inibisce certe nostre “difese” e quindi in questo caso ci fa vedere quello che non vogliamo vedere. Hai presente certe fotografie iconiche di reportage? Non ricordo video che abbiano avuto lo stesso impatto perché il video è molto più simile alla nostra esperienza visiva e quindi il cervello usa gli stessi processi di elaborazione e rimozione dei particolari non interessanti o spiacevoli. La foto, essendo statica, lo obbliga invece a usare percorsi cognitivi diversi e ritornando a cosa rifarei, ad esempio guarderei le unghie dello zampone, che sono quelle che mi hanno più impressionato
DS: è vero, anche a me
AG: ma quando lo ho comprato mica ci avevo fatto caso, ho guardato che fosse fresco, bello come forma, ecc. Poi facci caso, guarda le foto dello zampone che ci sono in giro, nelle pubblicità, sui pack ecc in quelle foto lo zampone intero è crudo ed è presntato assieme a fette di uno che invece è cotto questo perché cotto tende a rompersi ecc ma anche perché le fette aiutano a mettere in correlazione quello intero con il contesto. Ma come ti dicevo c’è molta differenza fra quelli “industriali”, che sono più asettici e meno impressionanti, e quelli artigianali li riconosci subito nelle foto
DS: ma le unghie ci sono?
AG: sì
DS: adesso mi prendo la briga di andarlo a vedere, devo giusto uscire per fare la spesa. E’ stata un’esperienza anche oggi sentirti. Senti, ci si vede domani sul tuo blog www.foodografia.com per la pubblicazione delle due foto del tuo servizio sui salumi, ok?
AG: certo, una sarà il cotechino per terminare la serie sui salumi freschi
DS: grazie davvero Alessandro
AG: di niente, buona serata
DS: buona serata, a domani
La natura morta e la realtà irreale
Domenica 27 novembre ore 18.49 continua la chiacchierata in chat tra Alessandro Guerani e me.
Donatella Simoni: mi piacerebbe sapere di più delle tue fotografie, di quello che possono fare, ad esempio, produrre emozioni, oppure ispirazioni
Alessandro Guerani: le fotografie non sono nient’altro che messaggi, quindi come tutti i messaggi devono comunicare qualcosa
DS: e cosa comunicano le tue?
AG: eh… cosa comunicano… qui dipende cosa si deve comunicare e dai vincoli della committenza, poi è chiaro che ognuno di noi è più bravo a comunicare certe cose rispetto ad altri, per appunto cultura, capacità, sensibilità, ecc. Ed è quello che si chiama “stile”
DS: che si nutre ogni giorno però
AG: si nutre delle vita che scorre, delle esperienze
DS: sì ma devi avere attenzione per questo, non puoi vivere alla giornata
AG: per quello è importantissimo essere il più curiosi e aperti possibili su tutte le cose del mondo. Tante volte hai una idea vedendo un paesaggio, altre volte vedendo una scena in un film, altre volte leggendo un libro. E’ il “magazzino” delle idee di cui dicevo prima, anzi spesso è meglio “staccare” un poco dalla fotografia perché appunto si rischia di andare su cose già fatte e battute, mentre invece una comunicazione diversa può portarti idee più fresche. In generale, bisogna amare il bello e l’interessante
DS: comunque la storia, il passato, mi sembra che siano molto importanti per te
AG: la storia mi ha sempre affascinato, come ti dicevo sono un quasi storico medievale, e quindi fa parte della mia cultura e della mia formazione. Poi nella mia idea di fotografia di food ritengo appunto importante, se non fondamentale, il comunicare un lifestyle, che è fatto, qui in Italia, soprattutto di storia e tradizione
DS: adoro le tue foto di still life, sono le mie preferite, personalmente le trovo elegantissime e mi evocano momenti raffinati, anche di tempi passati
AG: l’eleganza della morte 🙂
DS: ma dai, perchè dici così? Non dovrebbero evocare eleganza?
AG: pensa un attimo ai termini che si usano in Italia. Noi usiamo il termine “natura morta”, in inglese è still life che sarebbe “vita sospesa”
DS: sì
AG: ecco, chiediti il perché. Vedi, questi ragionamenti sono fondamentali per capire cosa c’è dietro alle immagini e i messaggi che veicolano. Noi usiamo il termine “natura morta” perché siamo cattolici. Il termine viene da una branca di pittura dove appunto veniva mostrata la “vacuità” della vita terrena come tutto finisse in realtà nella morte. Anche la cultura iconografica protestante aveva le sue “vanitas” che sono la base dello still life, basta pensare ai fiamminghi del ‘600
DS: sì ho presente
AG: ma non avevano comunque un carattere così cupo e negativo come da noi dove c’era la Controriforma
DS: no anzi
AG: infatti ci siamo noi e gli spagnoli che abbiamo molte scene di frutta e di cacciagione, i fiamminghi usano di più le tavole imbandite. Nelle prime c’è proprio la putrefazione a fare da padrona come anche in certi soggetti di Caravaggio e questo ci fa tornare al food come ho scritto in un post sul blog. Noi viviamo una dicotomia, consideriamo il mangiare vita ma ci cibiamo di cose morte, spesso sulla via di esser putrefatte. La carne cruda è frollata, i frutti sono maturi. Rendere queste cose come belle è sempre una sifda, per questo viene reputato difficile fotografare la carne
DS: eh immagino
AG: il colore vero è diverso da quello che abbiamo mentalmente in testa è paonazzo, freddo, ma il nostro cervello lo percepisce dal vero in altro modo, solo che in foto è come togliere quel velo. Capisci che se questi concetti non li conosci, non li studi, non puoi fotografare food! I salumi sono un esempio fantastico, prova a fotografarli sono tutti verso il magenta-blu, ma noi li vediamo rossi
DS: veramente?
AG: sì, prova e vedrai
DS: lo speck anche?
AG: lo speck è nerastro, comunque magenta
DS: ma scusa, allora quello che fotografiamo non è sempre la realtà?
AG: non è mai la realtà
DS: 😦 pensavo di essere carina vedendo le mie foto
AG: ahahahahaha
DS: dopo questo maestro, chiudo. E’ una delusione troppo forte
AG: se hai abbastanza materiale…
DS: mi basta, mi basta… per meditare
AG: alla prossima allora
DS: sì, così mi spieghi meglio la storia dei salumi blu
AG: ok
DS: ciao
AG: ciao
Alessandro Guerani* e il suo food&stillife
*@AleGuerani Bologna, Italy
Fotografo di food e non solo, mi interessa tutto quello che riguarda la fotografia, l’arte, la grafica e… il cibo! http://www.alessandroguerani.com/ http://www.foodografia.com/
Dialogo in skype tra me ed Alessandro Guerani. Domenica 27 novembre ore 18.15.
Alessandro Guerani: ciao, scusa il ritardo
Donatella Simoni: figurati
AG: quando vuoi puoi chiedermi tutto quello che vuoi 😉
DS: allora, ho letto un po’ di te, ho guardato le tue foto, mi piacerebbe sapere quali sono i tempi e i modi delle tue fotografie, dove nascono, se per caso, se per un’ispirazione, se sono calcolate, ecc..
AG: togliamo subito di mezzo alcuni miti. Il 90% della fotografia è calcolata nel senso che anche ritratti o paesaggi hanno dietro ore di osservazione, studio e pensiero, solo la fotografia di reportage o quella che si chiama street photography non è calcolata, è la cattura di eventi imprevedibili. Se è un lavoro su committenza hai dei vincoli, ma anche quando scatto per me tante volte, mi devo dare dei vincoli come se fossi il committente di me stesso. Per esempio, l’ultima serie sul vino, mi mancava fotografia di vino in portfolio e quindi mi sono “auto assegnato” un servizio vedendo lo scaffale delle bottiglie di vino novello in un negozio.
DS: quindi è in questa fase che scatta la tua bravura
AG: bravura non so, diciamo che è la fase di creatività comune a qualsiasi creativo, uno scrittore che ha un soggetto da descrivere, un grafico che ha un manifesto da comporre, ecc, e le logiche non sono poi tanto diverse, devi rendere interessante il soggetto, evitando le rappresentazioni più banali e in modo che esso diventi attraente ad un pubblico che è il destinatario del messaggio.
DS: dove preferisci vedere le tue foto, su una rivista del settore, appese come quadri?
AG: io sono un fotografo commerciale. Vedi, solo recentemente il mondo dell’arte è entrato in una fase che possiamo chiamare “egomaniaca” nel senso che son tutti artisti, tutti esprimono il loro profondo essere, ecc ecc… in realtà per secoli anche i più grandi pittori venivano pagati dai committenti, realizzavano l’opera seguendo le indicazioni e cercando di esprimere al meglio il messaggio che i committenti volevano; dopodiché se il quadro o la statua finivano in una cattedrale viste da migliaia di fedeli o nella cappella privata del palazzo non era affar loro. Poi è chiaro che fa piacere vedere il proprio lavoro esposto su un magazine ad alta tiratura.
DS: ho capito
AG: però c’è una cosa che per me è importante
DS: dimmi
AG: questo concetto, quello del committente, potrebbe sembrare appunto a molti, che hanno dell’arte e della creatività un concetto angelicato, una cosa brutale e gretta. Invece ti dirò, dà molta più soddisfazione riuscire a creare qualcosa di tuo, di cui sei soddisfatto entro i limiti che ti dà un committente. E’ una sfida e fra l’altro è la cosa che differenzia i professionisti dai dilettanti. Tutti con tutto il tempo a disposizione possono fare una bella foto, dipingere un bel quadro, scrivere qualcosa di interessante, il problema è farlo entro dei vincoli esterni e di tempo. Hai presente il principio delle scimmie con la macchina da scrivere che fu ripreso da Borges?
DS: sì
AG: è esattamente quella la differenza fra una scimmia e Shakespeare. Con l’eternità a disposizione anche la scimmia scrive l’Amleto. Questo è anche il concetto difficilissimo da trasmettere a certi “potenziali” clienti che vedendo belle foto di “amatori” ti dicono “ah ma son poi buoni tutti”
DS: capisco!
AG: vorrei poi riprendere il concetto “creativo” di prima. Iniziamo anche qui a togliere di mezzo un po’ di bestialità che girano. Il processo creativo non crea un fico secco di nulla. Chi dice il contrario, o fa lo sborone – come si dice in bolognese – o non sa di quel che parla. Anzi, spesso tutti e due! Il lavoro di ogni creativo è quello di usare alcun capacità: primo, avere una cultura il più ampia possibile, è la fonte delle idee (e qui tanti fotografi italiani peccano perché sono ignoranti come capre svizzere, c’ha ragione Toscani); due, mettere in correlazione fonti ed ispirazioni diversi, tre, rielaborarle per presentare qulacosa di bello e, possibilmente, non banale. Quindi capirai che più materiale hai a disposizione, cultura, più hai la capacità di vedere nessi e relazioni fra le cose, migliore sarà la tua rielaborazione. In pratica nessuno crea o inventa nulla.
DS: questo vale per la creatività tutta
AG: certo, ma infatti le foto le ho in testa, per quello ti dicevo che sono “studiate”. Spesso ho molto chiaro in testa cosa voglio, qualche volta anche nei dettagli, poi magari, quando sono nel momento “pratico” possono sorgere altri nessi o idee che vengono integrati, ma di base vedo, e più vado avanti in questo mestiere mi capita, che ho già quasi tutto in testa. Come i compositori che hanno in testa la musica, che poi io sia un fotografo significa solo che lavoro sull’immagine e che uso strumenti diversi, i processi sono uguali ai tuoi quando scrivi.
DS: grazie Alessandro. La prossima settimana vorrei parlare con te delle tue fotografie e come si comunica con le immagini. Che ne dici?
AG: bene, chiamami quando vuoi
DS intanto grazie, aspetto le tue foto per mercoledì e ti auguro una buona serata
AG: di nulla, grazie a te, buona serata
IMPRESSIONI. Un po’ intimidita ma bene. Riconosco di avere un concetto angelicato di creatività. Da rivedere. Confrontarmi con Guerani mi farà solo bene. Quanta sostanza! Ma in fondo, è solo il primo incontro. Alla prossima.